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Era il 2010 e il governo di allora…se la prese con il TFS… ma la Corte oggi!!!!

lo scorso 21 giugno, la Corte Costituzionale ha poi deliberato sull’importante tema del differimento e rateizzazione del Trattamento di fine servizio (Tfs) dei lavoratori pubblici, che come ben sapete, al pari del differimento e rateizzazione del Tfr, rappresenta da anni una grave discriminazione a danno dei lavoratori e dei pensionati del lavoro pubblico.
Nello specifico, con la Sentenza 130/2023 del 23 giugno 2023 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto legge n. 79 del 1997, come convertito, e dell’art. 12, comma 7, del decreto legge n. 78 del 2010, come convertito, che prevedono rispettivamente il differimento e la rateizzazione del Tfs, del solo Tfs, perché il caso specifico portato all’attenzione della Corte riguarda il Tfs.
La Corte, tuttavia, pur dichiarando inammissibili tali eccezioni di legittimità costituzionale, ha dichiarato che il differimento della corresponsione dei Trattamenti di fine servizio spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio (precisando che lo scrutinio di legittimità costituzionale riguarda solo questi ultimi e non anche coloro i quali ricevono
il Trattamento di fine servizio in occasione di cessazione anticipata dall’impiego) contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione.
La Corte Costituzionale infatti, pur non escludendo in assoluto che “in situazioni di grave difficoltà finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione del trattamento di fine servizio”, specifica che “il differimento operante in caso di cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età o di servizio non realizza un equilibrato componimento dei contrapposti interessi alla tempestività della liquidazione del trattamento, da un lato, e al pareggio di bilancio, dall’altro”.
La Corte evidenzia infatti che il Tfs è volto a “sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana”. L’eccessivo ritardo del pagamento del Tfs, inoltre, “contrasta con la particolare esigenza di tutela avvertita dal dipendente al termine dell’attività lavorativa”. Per la Corte il ritardo del legislatore in materia è illegittimo. La sentenza in oggetto non
produce comunque effetto automatico di decadimento della disposizione sulla quale verte il ricorso, cioè le norme relative a differimento e rateizzazione del Tfs non sono abrogate. La Corte tuttavia evidenzia che tale differimento e rateizzazione ledono in modo irragionevole e
sproporzionato i diritti dei lavoratori pubblici, in quanto, pur essendo state introdotte per far fronte a una situazione di crisi contingente, hanno ormai assunto carattere strutturale e si pongono in contrasto con la garanzia costituzionale della giusta retribuzione. Di conseguenza, la Corte invita con urgenza il legislatore a intervenire con forza di legge riformatoria, anche se evidenzia che l’intervento riformatore deve comunque tener conto degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico finanziaria.
Per la Corte è compito del legislatore individuare i mezzi e le modalità dell’intervento, che ha carattere prioritario. Per la Corte non sarebbe infatti tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, considerato anche che la stessa Corte aveva richiesto di intervenire nella medesima materia con la Sentenza 159/2019.
Nella sentenza del 2019, che riguardava sia il Tfs sia il Tfr, infatti, la Corte aveva evidenziato che “La disciplina che ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata. Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di età e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine rapporto, conquistate «attraverso la prestazione dell’attività lavorativa e come frutto di essa» (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto), rischia di essere compromessa, in contrasto con i princìpi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana”.
La sentenza 130 rafforza quindi l’invito della Corte a legiferare. Non una soluzione dunque, ma sicuramente un passo avanti. La Uil e la Uilp vigileranno attentamente sugli sviluppi e valuteranno eventuali azioni comuni.
SEGRETERIA NAZIONALE UILP  

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