Più donne al lavoro dopo il Covid ma le pensioni restano diseguali
di CINZIA ARENA
La disparità di genere ha un effetto moltiplicatore nel mondo del lavoro: le donne hanno maggiore difficoltà a trovare un impiego
e tra precarietà, part-time involontario e altre forme di flessibilità imposte hanno stipendi assai più modesti dei colleghi uomini. E di
conseguenza pensioni più misere che iniziano a percepire più tardi.
Una tendenza generalizzata in Europa ma che in Italia assume contorni più marcati. Il tasso di occupazione femminile che durante la pandemia era sceso sotto il livello di guardia del 50% adesso è in risalita negli ultimi due anni. Nel secondo trimestre del 2023, in base ai dati diffusi ieri dall’Istat, ha sfiorato il 52,6% (+1,2% di punti in un anno). Nonostante questo però resta di ben 13,8 punti inferiore a quello medio europeo, distanza aumentata rispetto al prepandemia (nel 2019 infatti era di 12,7 punti). In aumento anche la distanza tra i tassi femminili e maschili di occupazione nel nostro Paese passata dal 17,5 del 2021 al 18,1 del 2023. Due dati su tutti spiegano l’universo variegato dell’occupazione in rosa. Tra le donne tra i 25 e i 49 anni, emergono due estremi: le madri del Mezzogiorno con un basso titolo di studio hanno un tasso di occupazione del 22,9% e le donne laureate che vivono da sole al Centro del 97%. La maternità sembra essere ancora lo scoglio principale dell’occupazione femminile. Quando si parla di stipendi invece a rendere più povero il lavoro femminile è il numero ridotto di ore retribuite. Il part-time infatti sembra essere una prerogativa “rosa” come testimonia il XXII Rapporto annuale dell’Inps: a fronte di un modesto 8% di uomini che ha un orario ridotto, quasi una donna sue tre (i1 30% per l’esattezza) si trova in questa condizione e spesso non per una scelta. Sono sempre i dati dell’Inps a fotografare le diseguaglianze quando si parla di pensioni. Con stipendi “ridotti” e carriere discontinue è ovvio che le donne percepiscano assegni meno corposi. I pensionati pur essendo il 48% del totale assorbono il 56% della spesa pensionistica ovvero 180 miliardi contro i 141 erogati alle donne. Per gli uomini la pensione media è di circa 23mila euro l’anno, il 36% in più rispetto a quella delle donne. L’importo medio mensile è di 1931 euro per gli uomini e di 1416 per le donne. Ancora più esiguo l’assegno per le pensionate,174mila ad inizio gennaio, andare in pensione con l’agevolazione “Opzione donna’: In questo caso l’assegno medio si ferma a 1717 euro. Una differenza in parte riconducibile al ricalcolo contributivo e in parte all’adesione a questo tipo di pensione anticipata delle lavoratrici delle classi di reddito più basse.
A sorpresa negli ultimi dieci anni c’è stato il sorpasso dell’età pensionabile da parte delle donne: l’età media al pensionamento è cresciuta in maniera considerevole come diretta conseguenza delle riforme. Quella degli uomini è passata dai 62 del 2012 a 64,2 nel 2022, mentre quella delle donne da 61,3 a 64,7.Il superamento è legato alla diffusa discontinuità delle carriere delle donne, un fattore che comporta «ritardi nel raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata» come ha spiegato Micaela Gelera, commissario straordinario dell’Inps, nella sua relazione alla presentazione dei dati alla Camera dei Deputati. Per Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil a preoccupare squilibri territoriali intrecciati a quelli di genere danno vita «ad una situazione drammatica: solo 36 donne su 100 risultano impiegate al Sud». Indispensabile puntare su politiche attive del lavoro e interventi a sostegno della genitorialità condivisa visto che 1’86% dei 3,8 milioni di inattivi in Italia è donna e non cerca un lavoro per motivi legati ad esigenze familiari.